La voce di Maarja Kangro risuona in un paesaggio desolato. Il suo
linguaggio aspro, esplicito, ironico, nel rendere il male palese e
banale, intende esorcizzarlo. Intende esorcizzare la paura. Non è detto
che un evento negativo sia appena avvenuto, non è detto che di lì a poco
accadrà, e tuttavia la sua minaccia incombe, si approssima passo dopo
passo, strofa dopo strofa. Come se prefigurando l'evento si potesse
fermarlo, fermare il tempo, l'irreversibilità dell'accaduto. Forse
ognuna di queste poesie di Maarja Kangro può essere letta come un
sintetico, balenante trattato di filosofia pessimista. Un breve sorriso
laterale commenta con lucida amarezza la non schivabile crudeltà
dell'esistere. Non ce ne sono esplicite tracce, ma ugualmente ci
colpisce come evidente, la risonanza di una categoria, in certo ambito,
universale: ci sembra d'ascoltare una voce leopardiana. Non certo il
Leopardi dei Canti, perché qui ogni liricità è assente, o meglio, per
identificare il gesto che l'aggredisce, bruscamente spazzata via. Ma si
avverte una affinità, in contesti che più di due secoli ci separano, con
il Leopardi delle Operette.
Maarja Kangro è nata a Tallinn (Estonia) il
20.12.1973. Si è laureata in Lettere all'Università di Tartu. Scrive poesia, narrativa e critica letteraria;
prima di iniziare a scrivere poesie in estone ne ha tradotte da altre
lingue, e traduce tuttora dall'inglese, dall'italiano e dal tedesco. Ha tradotto anche opere di Giorgio Agamben e Umberto Eco.